Abbiamo avuto l’onore e il piacere di conoscere di persona Maurizio Galimberti, uno dei più celebri instant artist del momento. Per noi ha realizzato uno dei suoi sensazionali mosaici di istantanee e ha risposto a qualche domanda.
Un geometra convertito alla fotografia. Com’è avvenuto questo cambiamento di rotta?
Inizialmente la fotografia per me era un hobby. Io sono del ’57 e dal 1974 al 1982 ho iniziato a fotografare con il bianco e nero classico, però non mi piaceva stare in camera oscura (stampavo io le foto). È per questo che mi sono avvicinato a Polaroid e, contemporaneamente all’uso delle Polaroid, ho iniziato a studiare la storia dell’arte, con la quale contaminarmi. Perché tutti possono fare delle immagini, ma, come diceva Calvino, “La fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane”: se non hai un background, una cultura da cui attingere e con cui confrontare visioni ed idee, non vai da nessuna parte. Io ho incominciato dagli impressionisti, facendo delle Polaroid manipolate e poi via via mi sono acculturato con le avanguardie del ‘900, da cui è nato il mio lavoro. Nel 1988 ho fatto una mostra a Vicenza, da cui sono passati Achille Abramo Saporiti, communication manager di Polaroid e Nino Migliori, celebre fotografo. Ho cominciato quindi ad entrare in contatto con il mondo di Polaroid Italia e a fare delle ricerche per Saporiti e nel 1992, visto che non amavo lavorare come geometra per l’impresa edile, ho salutato tutti e ho detto: “Vado a fare le foto con le Polaroid”. Ed è stata una scommessa vincente.
Cosa l’affascina della fotografia analogica in generale e di quella istantanea in particolare?
La fotografia analogica mi piace, ma la bellezza della fotografia istantanea non ha paragoni: quando scatti una foto è un’emozione che vivi subito. Ha dei colori magici…è un amore vero e proprio. E se uno impara a fotografare con l’istantanea, impara davvero ad essere diretto: la foto diventa il prolungamento del tuo occhio.
I suoi mosaici di istantanee sono ormai leggendari. Com’è nata questa idea?
Il mosaico è nato alla fine degli anni ’80, quando ho iniziato a fare un lavoro di ricerca sulle avanguardie, sul Bauhaus, sui mosaici di Daniel Spoerri in Bianco e Nero su cui lui dipingeva sopra, su quelli di Hockney e di Lucas Samaras. Ricordo anche una famosa copertina dei Talking Heads che mi aveva affascinato moltissimo. Oltre a questo, c’era il cubismo di Braque e Picasso che mi ha influenzato molto. Ho iniziato quindi a sperimentare anch’io questa tecnica, con dei dittici e dei trittici, anche se in realtà non mi convincevano molto. Fu nell’1985-86 che ho deciso di lavorare prevalentemente con i mosaici, realizzandone di varie dimensioni…finché poi Alan Fidler, ingegnere della Polaroid di Boston, mi mostrò The Collector, la scatola che utilizzo per fare i ritratti. Con lui facemmo delle modifiche sul colore e da lì iniziò la mia ricerca sui ritratti attraverso il Collector e fui il primo ad utilizzarlo in questo modo. A livello progettuale, è stato importante conciliare quel mezzo con il futurismo di Boccioni, imprimendo agli oggetti linee dinamiche che salgono e scendono – una caratteristica tipica dei miei ritratti.
Ritratti o architetture: quali soggetti tende a preferire?
Diciamo che il ritratto è più affascinante perché sei a contatto con un essere umano, mentre l’architettura è interessante perché inventi qualcosa con un oggetto che già esiste. Mi piacciono entrambi, ma se proprio dovessi scegliere, direi il ritratto.
Quale, trai suoi tanti lavori, le ha regalato maggiori soddisfazioni?
A livello di mosaico, direi sicuramente la Vucciria di Palermo del 1992: ha dei colori incredibili.
Sappiamo che ha fotografato gente molto famosa, da Johnny Depp a Robert de Niro, passando per Lady Gaga. Ha qualche aneddoto curioso da raccontarci a riguardo?
Beh, Lady Gaga continuava a dirmi “Chiamami Caca” e io le rispondevo “guarda che non è una bella cosa in Italia!”…e poi, quando abbiam finito la sessione fotografica, mi ha baciato appassionatamente in bocca, cosa che a me ha fatto un po’ schifo perché come donna non è proprio il mio tipo. Un altro aneddoto divertente è con Johnny Depp: finito il ritratto, è corso dal Des Bains all’Excelsior (a Venezia, ndr), perché era veramente contento del risultato. E poi, una cosa molto bella, con Robert de Niro: all’inizio c’è stata un po’ una battaglia per fargli il ritratto, perché io dovevo farglielo per Polaroid, sponsor del TriBeCa, di cui lui è fondatore. Lui però non voleva farsi fare il ritratto perché diceva che sembrava una presa in giro con quella scatoletta di plastica (il Collector, ndr), ma alla fine cedette. Terminato il lavoro, mi chiese scusa e si mise a piangere perché ci vedeva tutte le sue inquietudini e si riconosceva in sua madre e suo padre. E due giorni dopo mi commissionò degli scatti per tutta la sua famiglia. I ritratti sono così: è un po’ come prendere in prestito l’anima per due minuti per poi restituirla per l’eternità con una fotografia.
Per Lomography Italia si è cimentato con una Diana F+ e con l’ Instant Back. È la prima volta con questa fotocamera? Come si è trovato?
È stata la prima volta, sì, e mi sono trovato benissimo. Inizialmente ho dovuto fare un po’ di esercizio col “scatta e schiaccia”, perché sono abituato a premere soltanto il pulsante che espelle la pellicola e quindi ho buttato via qualche scatto. Però, una volta presa la mano, è stato molto facile e divertente. Mi è piaciuta molto per la qualità dell’ottica che, per quanto in plastica, è davvero buona. Anche l’impostazione dei diaframmi mi ha aiutato molto in Puglia, dove c’era parecchio sole. E il risultato è un colore straordinario. Sicuramente la riutilizzerò!
Che tipo di progetto ha realizzato per noi?
Al momento sto facendo un lavoro con Arianna Grimoldi, una famosa modella di nudo. Mi trovavo in Puglia e, tra uno scatto e l’altro, avevo questo oggetto strano da utilizzare e ho colto l’occasione per farlo. Ho perso la prima oretta per “aggiustare il tiro”, dopodiché ho iniziato a scattare, realizzato questa immagine estiva, di una donna con maschera, priva di identità, quasi animalesca…una sorta di Paolina Bonaparte dei giorni nostri. Un’immagine da copertine estive.
Quali programmi ha per il futuro? Nuovi lavori, mostre, workshop?
A parte il progetto con Arianna Grimoldi, ho una performance alla Columbus University di New York il 14 giugno, una mostra il 18 luglio alla Dillon Gallery, sempre a New York, e un progetto su Parigi con le pellicole istantanee. E, ovviamente, ci sono sempre i ritratti su commissione.
Ha qualche consiglio da dare alla nostra community appassionata di scatti istantanei?
Cercate sempre di dare un senso ai vostri scatti: fare foto in serie o superficiali non porta da nessuna parte. E qui ritorna Calvino con la “solida fetta di pane”: in questo caso, il pane è lo studiare, il capire, il confrontarti con artisti e correnti del passato e del presente per poi tirar fuori la tua personale interpretazione. Io trovo che chi fa questo tipo di ricerca con le Lomo si fa prendere la mano dal mezzo e spesso quello che emerge è una certa superficialità. In un’epoca di grandi media con cui è facile fare fotografia, trovo che questi apparecchi “poveri” ma affascinanti, come le macchine Lomography o le Polaroid, siano superiori al digitale – sembra una bestemmia, ma sfido chiunque, con una digitale, in 30 secondi, a fare uscire una foto così come l’istantanea che ho fatto per voi. Sono convinto che tanti dei vostri appassionati vogliano sperimentare e fare una ricerca personale: ecco, secondo me, questo è il mezzo ideale per riuscire a trovare una propria strada.
Seguite Maurizio Galimberti sul suo sito e sulla Pagina Facebook.
Scritto da stea il 2013-05-22 in #persone #instax-mini #polaroid #diana #lomoamigo #istantanee #maurizio-galimberti
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